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Ott 26, 2018

IL MESSAGGIO DELLA BEATA IRENE ALLA LUCE DEL LIBRO DI RUTH

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IRENE E RUTH-NOEMI IN DIALOGO PER UNA MURANGA 2

Maputo, 27 febbraio 2018

GIUSEPPE FRIZZI, IMC

Introduzione – Contesto liturgico

Questo incontro avviene nel contesto liturgico quaresimale: è sempre stato il tempo classico per i catecumeni di decidersi di lasciare il mutthu vecchio (la persona vecchia), morire con Cristo per risuscitare con Lui al mutthu rinnovato, rigenerato, rivitalizzato. Questo tempo quaresimale non è solo tempo catecumenale, ma “tempo accettabile” propizio per tutti i cristiani, anche per noi religiosi, soprattutto per i due Istituti consolatini che, dopo aver celebrato i rispettivi Capitoli Generali, cercano ora la via del rigenerarsi e del ristrutturarsi: un processo che implica morte e risurrezione, la celebrazione nuda e cruda del mistero pasquale, un evento che dà l’addio a un glorioso passato missionario dedicato all’Ad Gentes di marca coloniale nella speranza e fiducia di iniziare una nuova era missionaria aggiornata, rigenerata e ristrutturata.

Avremo tre punti da metabolizzare sul passaggio pasquale della rigenerazione e ristrutturazione del carisma cosolatino.

  1. Rinascere /rivitalizzare è possibile, viabile?

Il passaggio pasquale consolatino della rigenerazione e ristrutturazione del carisma per alcuni è un indicativo categorico che diventa un imperativo categorico, mentre per altre coscienze è un sogno, è una utopia che suscita perplessità, dubbi, incertezze e disanimo. Esaminiamo un po’ questo secondo momento, non del tutto assente anche all’interno del primo, alla luce di alcuni testi del NT molto emblematici e sintomatici.

1.1 Il dubbio di Nicodemo (Giov 3,4.9-10)

Prendiamo in considerazione la visita notturna che Nicodemo fa a Gesú (Giov 3,4.9-10). Se Nicodemo formula il dubbio non solo metodico ma reale (come è possibile rientrare nel seno materno di nuovo?), Gesù invece lo aiuta a superarlo, affermando che la rinascita non solo è possibile, ma è necessaria.

Nella cultura macua scirima si pratica una cura chiamata Mirusi, la cui forza terapeutica consiste nel ricondurre l’ammalato all’incoscienza nell’utero materno per poi infondergli l’impeto di una nuova vita. Insomma, nel passaggio pasquale consolatino, i dubbi, le esitazioni sono comprensibili, ma non devono essere la risposta/decisione finale. Si può rinascere. Piú avanti vedremo che Noemi e Ruth rinascono, mentre Orpa rinuncia.

1.2 L’ipotesi reale di Gamaliele – Atti 5,38-39

Prendiamo ora in considerazione un altro rabbino che di fronte alla nuova alternativa religiosa non condivide l’atteggiamento ostile dei suoi colleghi e propone loro l’ipotesi di una alternativa reale irrefutabile. Gamaliele ha il coraggio di formulare un SE ipotetico che liquida tutte le motivazioni contrarie al nuovo “cammino” di Gesù e della Chiesa incipiente. Anche se si è gente religiosa, convinta della propria fede, Gamaliele suggerisce ai suoi colleghi l’ipotesi reale che da cooperatori possono diventare nemici/avversari del cammino di Dio nella storia. Sappiamo di fatto che è stata questa ipotesi, questa domanda di Gamaliele che nella storia della fede cristiana è suonata come la vera e unica risposta. Cfr. Atti 10.11.15.

I due istituti consolatini stanno ora difronte a un’ipotesi che è più una tesi che una supposizione irreale, è un evidente segno stradale per una rigenerazione e ristrutturazione, la cui necessità e urgenza solo i ciechi non possono vedere e solo i sordi non possono udire. Gamaliele ci avverte categoricamente di non diventare nemici o per lo meno avversari del cammino che Dio, la Consolata e il Fondatore vogliono nel tempo di oggi.

Più avanti vedremo che Ruth trasforma l’ipotesi di Gamaliele in tesi: decisa e risoluta ad Vitam si identifica nel popolo e nel Dio di Israele, mentre Orpa torna a casa, se non delusa per lo meno vuota.

1.3 Due inversioni di Paolo lucano: Atti 17,16-34: Paolo all’areopago di Atene; Atti 16,14-15: Paolo e Lidia

La rigenerazione, la rivitalizzazione del carisma consolatino all’Ad Gentes non è sogno e utopia, ma è una realtà possibile. Lo vediamo in concreto nella vita di Paolo apostolo lucano. Ad Atene all’areopago Paolo cambia marcia, inverte il suo metodo, da teologo etnocentrico esclusivo diventa teologo aperto inclusivo, in altre parole dà la precedenza al mietere la religiosità e teologia ellenistica per poi seminare il kerigma della risurrezione di Gesù.

Luca, in Atti 16,14-15, ci indica un’altra conversione di Paolo, un’altra sua inversione non a livello teologico ma a livello psicologico e affettivo emotivo. Se Paolo converte Lidia, Lidia da parte sua converte Paolo; se Paolo è centrifugale, Lidia è centripetale, costringendo Paulo maternamente a entrare in sua casa, ad accettare e cioè a mietere la sua ospitalità, a dipendere per lo meno culturalmente e economicamente da Lei e dalla comunità di Filippi: l’unica comunità a cui Paolo ha concesso e ceduto parte del suo orgoglio e autosufficienza missionaria.

Ogni volta che leggo questo episodio di Lidia con Paolo lc, la mia fantasia vola e mi chiedo: questo episodio non aiuterà il trio consolatino IMC-MC-LMC a smontare un po’ l’orgoglio e l’autonomia guadagnata nella loro storia, abbandonando o dimenticando quasi completamente Muranga1? Nel cammino di rigenerazione per Muranga 2,  Lidia di Filippi con la sua tempra forte e dolce di donna e di madre che umanizza Paolo e lo rende più simpatico e più effettivo,  non ci può aiutare nella ricostituzione triangolare del trio consolatino, smussando gli angoli perché formino un cerchio di comunione effettiva e affettiva? Al trio consolatino attuale non mancherà questo virus, chiamiamolo “virus lidiano”, quel calore e quell’aura umana materna oppure paterna, fraterna oppure sororale che lo riscaldi e lo umanizzi?

1.4 La conversione del Beato Oscar Romero

Per il trio consolatino IMC-MC-LMC il protettore invocato e da imitare quest’anno è il Beato Oscar Romero, vescovo e martire. La sua conversione/rigenerazione è ben conosciuta, gli è costata persino la vita, ma la sua morte è diventata paradigma di vita rinnovata e ristrutturata per la chiesa locale e universale. Di nuovo, il passaggio pasquale che il trio consolatino vuole intraprendere, anzi già si è lanciato su questa pista, è possibile, è viabile, è un magnete, una calamita a cui non si può resistere.

  1. Luca teorico e testimone della missione

    I momenti forti della missione lc: Lc 10,1-24

Non voglio presentare di nuovo dettagliatamente il brano lucano Lc 10,1-24, molto significativo per capire la missionologia di Luca, solo mi pare necessario tener presente la personalità di Luca, molto significativa per il nostro incontro di oggi. Luca è l’unico autore biblico di origine e di cultura non ebraica, ha vissuto sulla sua pelle il dramma dell’interculturalitá e dell’interreligiositá tra mondo ebraico e ellenistico, superandolo a pieni voti (Atti 15). Con i suoi scritti Luca medico scienziato ellenista, ma anche storico fluido e teologo critico, occupa nel NT una posizione unica, intermedia e intermediaria: tra i due altri sinottici Marco e Matteo, tra tradizione sinottica e tradizione giovannea, tra Paolo lucano e Paolo epistolare, tra ecumene ellenista e località ebraica, tra chiesa ellenista e chiesta gerusamelitana. Da questa intermediarietà scaturisce una chiesa lucana rinnovata capace di fare la sua storia e allo stesso tempo di riscriverla criticamente nella discontinua continuità. In un’epoca come la nostra, nella quale la globalità supera di gran lunga l’ecumene romano-ellenistica, le critiche di Luca e i suoi teoremi missionologici meritano una attenzione speciale non solo da parte della chiesa in cammino verso una seconda epocale Gerusalemme, ma anche per il trio consolatino in cammino di rigenerazione.

Prendiamo in considerazione il brano più significativo di Luca, teorico e testimone della missione, Lc 10,1-24 che riassumo con una metafora, quella dello zaino.

Nel momento dell’invio e andata dell’inviato (Lc 10,1-11), questi va con lo zaino vuoto di sé, contiene solo il kerigma e l’ottimismo che deriva dalla messe già arata, coltivata e ora da mietere, e pian piano lo riempie mietendo il mondo culturale e religioso dell’Ad Gentes che evangelizza, fecondandolo seminando  il kerigma.

Nel momento del ritorno (Lc 10,16-24), l’inviato ritorna con lo zaino pienissimo. I 72 ritornano “pieni di gioia” e Gesù stesso vi si inserisce pienamente confermando ancor di più la loro sinfonia. Subito dopo però corregge il loro entusiasmo, suggerendo loro un’altra motivazione: infatti i loro nomi da transitori sono ora perennemente scritti nel cuore di Dio Trinitario. Riprendendo la metafora dello zaino, Gesù invita l’inviato a deporre lo zaino, a svotarlo, a rigenerarlo, riempiendolo di contenuti definitivi e non più transitori legati alla dinamica della missione ma all’estasi finale della missione, all’estasi trinitaria, nella quale l’inviato si immerge in simbiosi e osmosi estatica e instatica.

Vedremo più avanti ancor meglio l’ambivalenza del ritorno dalla missione quando entreremo nei capitoli dedicati alla Beata Irene in dialogo con il duetto Ruth-Noemi. È proprio in questo momento del ritorno che Luca può aiutare e animare a gestire il parto rigenerativo che il passaggio pasquale consolatino attuale esige. Nell’odierno metabolismo e fermentazione interreligiosa e interculturale, quanto materiale accumulato negli innumerevoli zaini di missionari si è già deposto e deve essere deposto ancora e avere cosi l’opportunità di contemplare le estasi trinitarie di numerosi missionari e missionarie della Consolata. La chiesa ha voluto già esporre paradigmaticamente due estasi di due missionarie della Consolata, la Beata Irene Stefani e la martire Leonella Sgorbati. Prenderemo in considerazione per il nostro tema un po’ la prima, Sr. Irene Stefani.

  1. Irene Pwiyamwene

3.1 Irene nell’annesso capitolare

Già molto si è detto, scritto sulla Beata Irene. I due ultimi Capitoli Generali le hanno dedicato due giorni di riflessione e di estasi: un giorno per conoscere la sua vita nel Kenya, dove ha guadagnato il titolo di Nyaatha che è come la sintesi del suo stile consolatino vissuto eroicamente alla luce dei principi formulati nella Conferenza di Muranga 1, e un secondo giorno per conoscere i messaggi che sr. Irene ha lanciato con i suoi interventi miracolosi a Nipepe, guadagnando il titolo di Pwiyamwene che è pure un’altra sintesi di un nuovo stile missionario che punta a una nuova formulazione del carisma ad Gentes, possibilmente a una Muranga 2. Le Acta dei due CG riportano un annesso che sintetizza bene la riflessione e l’estasi su Sr. Irene di quei due giorni, io mi permetto di approfondire meglio alcuni aspetti che l’annesso capitolare non nega, ma suppone.

3.2  I due titoli di sr. Irene: Nyaatha e Pwiyamwene, supposti nell’annesso capitolare

Il primo apporto complementare lo vedo nei due titoli che sr. Irene ha guadagnato: Nyaatha in Kenya, Pwiyamwene a Nipepe, nel Mozambico. I due titoli sono supposti, ma non menzionati nell’annesso capitolare. Eppure questi titoli sono chiavi di volta per capire la personalità di sr. Irene, perché ci indicano come è stata mietuta, ricevuta, metabolizzata da due popoli di cultura, di lingua  e di tempo e epoca differente. In un crescendo impressionante, in entrambi gli orizzonti Irene è stata ben mietuta, perché ha anche ben mietuto sia in Kenya che in Mozambico.

Meriterebbe qui porre la proposta operativa: che titolo mi ha dato o mi dà il popolo che evangelizzo? Ne deriva una fotografia /radiografia che può mettere in crisi o in estasi chiunque.

Nsina murim’à: il nome dice il tuo cuore/comportamento.

3.3 Sr. Irene nel cuore dei pellegrini di Nipepe

Altri complementi all’annesso capitolare ve li comunico prendendo lo spunto da un tema che ho dato ai ricercatori del Centro de Investigação Macua Xirima (CIMX) di Maúa. Dopo aver partecipato alla seconda peregrinazione al santuario di Nipepe dedicato a sr. Irene, ho chiesto loro che mi parlassero di sr. Irene raccogliendo pure i commenti dei pellegrini.

3.3.1 Irene Namwisetta: Vagabonda/Girovaga/Turista irrequieta

Quando parlano di sr Irene come missionaria della Consolata in Kenya, la vedono come madre di misericordia conforme il titolo Nyaatha che conoscono, ma sottolineano o meglio le donano un altro attributo, Namwisetta, che tradotto significa vagabonda/girovaga irrequieta, sempre per strada a curare e a consolare in Kenya e Tanzania, persino in cielo è girovaga irrequieta, per cui dal cielo il suo piede missionario arriva anche in Mozambico, raggiungendo Nipepe, un popolo che non conosceva, per aiutare un padre e un gruppo di catechisti che pure non conosceva.

3.3.2 Irene e la Makeya macua scirima

Quando i ricercatori del CIMX parlano di Sr. Irene nel suo intervento a Nipepe, gli apporti e approfondimenti all’annesso capitolare non sono pochi né secondari.

Innanzitutto viene il fatto più che straordinario che sr. Irene ha accettato subito il rito della Makeya, rito fatto per chiederle aiuto e difesa. Lei, straniera come Ruth, ignara della cultura e religiosità macua scirima, la accoglie, la miete a piene mani, intervenendo con numerosi segni miracolosi ora già ben conosciuti, tra i quali è stato poi nel processo della beatificazione messo soprattutto in luce la moltiplicazione dell’acqua dal tronco battesimale che ha saziato la sete per tre giorni a tanta gente rinchiusa in chiesa e assediata dalla Renamo. Per aver accolto il rito della Makeya  confermandolo con numerosi segni miracolosi, i cristiani del Niassa arrivano alla conclusione e nutrono la convinzione che Sr. Irene ha accettato e mietuto a piene mani il cuore non solo della cultura e religiosità dei macua scirima ma anche il cuore di tutta l’Africa.

3.3.3 Irene onirica: sogni e preghiera

Attributi: Nikholo, Munepa mutokwene,  Pwiyamwene, 

Antenata, Grande Spirito,  Matriarca

In secondo luogo, Sr. Irene, sollecitata dalla Makeya, fa un secondo intervento straordinario. Partiti i soldati della Renamo da Nipepe, deportando tanti catechisti con le rispettive famiglie, Sr. Irene interviene in un sogno di un catechista, Sebastião Saponete, lo consola assicurandogli il ritorno della sposa e del figlio deportati e infine gli consegna una preghiera da recitare in chiesa ogni giorno per il ritorno dei deportati. Con questo intervento onirico sr. Irene si dimostra di nuovo mietitrice, si inserisce nella mentalità e nella modalità comunicativa macua scirima e come i grandi spiriti e le grandi antenate macua scirima impiega il sogno per comunicare il suo messaggio di consolazione reso ancor più concreto con la preghiera del salmo. Nessun spirito grande, nessuna antenata grande arriva solo con parole, a mani vuote, dicono i macua scirima, ma sempre con un segno concreto. Infatti, sr. Irene arriva con una preghiera che nel cuore del macua scirima ha una risonanza molto più ampia, è preghiera carica di energia mistica e terapeutica, è farmacia di innumerevoli medicamenti per curare innumerevoli malattie. Insomma, con questo intervento onirico, sr. Irene diventa antenata di Nipepe (Nikholo), un grande spirito (Munepa mutokwene), in altre parole diventa e guadagna il titolo di pwiyamwene: binomio pwiya = signore/a, mwene = ré/regina: tradotto = matriarca, genearca.

Ecco, sr. Irene accettando la Makeya e facendo sognare, intervenendo così a Nipepe, impiegando e mietendo i moduli comunicativi della cultura e religiosità macua scirima ha guadagnato il secondo suo attributo centrale. Se Nyaatha è un attributo che caratterizza personalmente il cuore materno e misericordioso di sr. Irene — è il suo eros e ethos, è la sua statua più rappresentativa — il secondo titolo Pwiyamwene inserisce ancor di più questo cuore materno e misericordioso di sr. Irene nel tessuto vitale del popolo macua scirima, ne fa non solo una statua ma pure una struttura civile, uno statuto con risonanza comunitaria.

Da qui il suo inequivoco messaggio per un rigenerare autentico il carisma e l’evangelizzazione ad Gentes nel kairos attuale. Il mietere precede il seminare oppure, anticipando Ruth, lo spigolare precede il dare: sr. Irene prima si fa macua rivestendosi di pwiyamwene/matriarca e poi si rivela missionaria evangelizzando, indicando la preghiera del Salmo 23 (il Buon Pastore), ha contestualizzato il Buon Pastore macuizzandolo.

3.3.4 Sr. Irene e il trio consolatino IMC-MC-LMC

In terzo luogo, impressiona molto i pellegrini di sr. Irene il fatto che Lei, missionaria della Consolata, è intervenuta a Nipepe in favore e in aiuto di un padre della Consolata e in difesa delle 52 famiglie di catechisti che frequentavano un corso annuale di formazione a Nipepe. Nipepe è una missione fondata dai padri della Consolata, presenti a Nipepe fino al 1997. La loro uscita da Nipepe ha provocato questo commento: Che peccato abbiamo fatto per abbandonarci?

Ora, venendo a conoscenza a Nipepe che sr. Irene a Nipepe è intervenuta in favore di un padre della Consolata e dei catechisti, i pellegrini di Nipepe, memori del passato, considerano la sua apparizione a Nipepe come un richiamo e allarme forte: con il suo intervento miracoloso Sr. Irene ripesca dall’oblio il trio consolatino IMC-MC-LMC, lo ricupera, lo ricompone e lo ripropone. Il suo intervento a Nipepe ne è memoria, memorando e memoriale. In questo sessennio sr. Irene non vorrà che il trio consolatino ripescato, ricomposto e riproposto miracolosamente a Nipepe passi dall’amnesia alla anamnesi, dalla dimenticanza al ricordo rigeneratore??

3.3.5 Le prime due pellegrinazioni a Nipepe

Fin dal giorno in cui la diocesi si è riunita a Nipepe con il suo vescovo per ringraziare sr. Irene per i suoi miracolosi interventi, sr. Irene ha conquistato la diocesi. Il vescovo Dom Atanasio Canira terminava la sua omelia elevando la parrocchia di Nipepe a secondo santuario diocesano in onore e venerazione della Beata Irene.

Ho partecipato alle due seguenti peregrinazioni, ognuna delle quali ben caratterizzata. La prima pellegrinazione è coincisa con la morte tragica di suor Luisa Amalia: Sr. Irene fa memoria rievocando “il filo rosso, la lingua di fuoco, il fuoco del carisma” che percorre cronicamente la storia consolatina. Nella seconda pellegrinazione sr. Irene interviene con un segno ultra-gradito e ultra-comprensibile al popolo di Nipepe. La gente di Nipepe insieme a tutti i pellegrini stava aspettando tutti i giorni la prima pioggia dell’anno dopo tanti mesi di secca. Inizia la messa pontificale e quando il vescovo sta parlando dell’acqua fornita da sr. Irene, eccoti che si apre il cielo e giù una abbondante pioggia. Non solo, ma al termine della messa, quando il vescovo risponde alla mia richiesta di celebrare una Makeya di ringraziamento, il cielo di nuovo si apre e giù una pioggia ancor più intensa tra il giubilo incontenibile dei pellegrini: era ancora una volta un intervento tipico di sr. Irene nipepese, in sintonia con le modalità comunicative e idiomatiche del popolo macua: anche questa volta sr Irene miete (si fa pwiyamwene) e poi semina dando pioggia.

Tutti i pellegrini sono ritornati alle loro parrocchie certi che sr Irene è veramente una pwiyamwene efficace. I miei collaboratori hanno raccolto questi commenti semplici e spontanei:

Pwiyamwene Irene akuxale enenero ya Maria o Kanani, Namahakalaliha ntoko Maria.

Irene Pwiyamwene ha assunto il comportamento di Maria a Cana, è consolatrice come Maria.

Irene pwiyamwene namukuttu: onathola vari eyotxa ni onakhupara an’awe mohawani

Irene pwiyamwene ori mweri ni nsuwa n’atthu othene.

Irene pwiyamwene a vathi ni a wirimu.

Irene pwiyamwene é la chioccia: scava dove c´è cibo e cova/protegge i suoi figli nella tribolazione.

Irene pwiyamwene é la luna e il sole di tutta la gente.

Irene é pwiyamwene in terra e dal cielo.

Irene nitho na Muluku w’Annipepe

Irene é occhio vigile di Dio per i Nipepesi.

Irene ekholele ya mele.

Irene è sorgo che germoglia ogni anno.

Irene mutholo: khonaxa ohinalapeliwa.

Irene è l’albero sacro: venerato ogni mattino.

Irima irene nikompesa n’Annipepe.

Irene è la coperta per i Nipepesi.

Irene òmukuxa Nipepe vanleveni.

Irene ha avvolto Nipepe nel suo velo.

Irene ori ehime yohiwelela.

Irene è un pozzo inesauribile.

Irene mulema: ontepa weha vathi.

Irene è pipistrello: guarda sempre in basso

Irene khakhwiye ni makhuvene w’annipepe.

Irene non è morta del tutto a Nipepe

Nsina na irene khannakhuwanyeya

nari khannatttuwaleya

Il nome di Irene non si occulta né si dimentica.

3.3.6 La pwiyamwene Nanankaya

Nella vecchia missione dedicata al Ss. Cuore di Gesù, ultimamente sono venuto a conoscenza di questa storia, un evento molto significativo per capire il titolo Pwiyamwene dato a sr Irene. Prima che la missione esistesse (1940), viveva in quel territorio una pwiyamwene di nome Nanankaya che condusse il suo popolo ai piedi del monte Mukopo, dove poi è sorta la missione. Era una pwiyamwene di grande valore che anche le autorità coloniali rispettavano e sulle quali si imponeva, esigendo la liberazione di imprigionati, era soprattutto aperta a tutti i forestieri locali e stranieri. Questa pwiyamwene infine muore dando al suo popolo questa parola di addio: “Nella necessità invocatemi, vi aiuterò”. Ma il popolo cristiano e non per alcuni anni l’ha dimenticata, finché apparendo una calamità, si è di nuovo ricordato di lei, è ricorso a lei costruendole una tomba decorosa che da quel giorno è divenuta santuario, luogo sacro di peregrinazione per chiedere aiuto e per ringraziamenti.

Nel frattempo, solo in questi ultimi tempi vengo a conoscenza dell’esistenza di questa tomba-santuario. Recentemente, con la visita di sr Hannah Wambui MC, l’accompagno a quella tomba con alcuni cristiani, uomini e donne, che compiono il rito commemorativo invocando la protezione della pwiyamwene per sr. Hannah. In quella occasione vengo a sapere dalla popolazione il nome della pwiyamwene e delle sua grande ospitalità. Inutile dire che la consorella é ritornata a Maúa ben trasfigurata da quel rito. Alcuni giorni dopo, visitando io il vecchio catechista Bernardo Mmora, quasi centenario, gli parlo della pwiyamwene Nanankaya e subito si trasfigura e con gioia mi comunica la seguente notizia bomba: “Padre, un giorno di luglio del 1940 i padri della Consolata si sono presentati alla pwiyamwene Nanankaya e lei immediatamente nonostante che la sua gente fosse contraria, ha ceduto loro la sua casa, la sua veranda e il suo cortile, andando abitare più lontano: sulla sua casa oggi sorge la grande chiesa della missione, nella sua veranda è stata costruita l’attuale casa dei padri e sul suo cortile sussistono ancora due enormi alberi, un mango e un tamarindo, che nessuno pensa di abbattere perché sono reperti storici della pwiyamwene”.

Conclusione: una grande pwiyamwene come Nanankaya mai muore definitivamente, ma necessariamente risorge per continuare ad essere tale nel presente e nel futuro. La Consolata IMC-MC l’ha dimenticata, non però l’LMC. Sì, questi sono stati capaci, mentre noi non siamo stati capaci di mietere e cioè vedere in questa pwiyamwene straordinaria una donna di “pace”, una Lidia e una Ruth vera e autentica, come Lc 10,8 afferma. Ma la storia di Dio che è di casa e a casa in tutti i “cortili gentili”, in tutti i cuori di “pace”, supera queste amnesie storiche umane, per cui ecco ora due santuari contigui, paralleli, simmetrici e speculari: da una parte la chiesa maestosa della missione dell’IMC-MC e dall’altra la modesta tomba della pwiyamwene Nanankaya del LMC: due santuari da considerare antitetici esclusivi o simbiotici inclusivi?

Sr. Alicarda MC mi ha dato con estrema semplicità la risposta/soluzione. Andando alla missione per il ritiro, accompagnata dalle mamme della missione alla tomba della pwiyamwene Nanankaya, ben impressionata dal rito celebrato, come risposta si é seduta e è rimasta là a fare il suo ritiro tutto il giorno. Ecco, nel gesto e nella posizione di questa giovane MC vi intravedo il germoglio primaverile di Muranga 2, una metafora primaverile che aiuta a capire sr. Irene come Pwiyamwene di Nipepe ma anche indica timidamente il cammino che la nuova ratio missionis potrebbe seguire in questo sessennio, il cammino umile e disarmato di Ruth spigolatrice che ora prenderemo in considerazione.

  1. Sr. Irene e Ruth nella ratio missionisoggi

Per questo sessennio avrete le icone di altre due donne (per favore, non dimenticate Lidia di Filippi): Noemi e sua nuora Ruth. Che spunti questo libro può offrire  per i temi da sviluppare nel sessennio, soprattutto per la ratio missionis e per la sognata Muranga 2 in favore del trio consolatino? Vi trovo tre spunti importanti invitando però a prendere in considerazione non solo le due vedove Noemi  e Ruth ma anche la terza vedova, Orpa, che per il nostro incontro non merita di essere dimenticata né esclusa, è un trio di icone della missione valido.

4.1 Ruth 1, 16-17: Il ritorno delle tre vedove: Noemi con le nuore Ruth e Orpa

Il ritorno di queste 3 vedove mi fa ricordare un albero della foresta del Niassa, chiamato Rokosi che si presenta sempre con questa dualità: con rami secchi da una parte e con rami verdi dall’altra. Ecco, un po’ simile a questo albero è il ritorno di Noemi con le nuore Ruth e Orpa, veramente un ritorno paradigmatico per la missione che sintetizzo con un’altra metafora che già conoscete, quella dello zaino.

Iniziamo con Orpa che vuole inizialmente seguire le suocera, ma poi dietro le sue insistenze materne si decide e ritorna al suo mondo, ai suoi dei, insomma indietreggia e volta le spalle come sta indicare il suo nome, è un ramo di rokosi non solo secco ma staccato. Ecco qui indicata una possibile valenza di ritorno dalla missione, un suo primo volto, una sua prima eventualità del tutto negativa, girando le spalle alla missione.

Ruth anche se vedova e senza figli ritorna con lo zaino pieno, è un rokosi vivo, mentre Noemi ritorna con lo zaino vuoto o svuotato, è un rokosi secco. In queste due vedove sono indicate due altre valenze del ritorno dalla missione: Ruth ritorna con la convinzione di aver raggiunto la meta della vita, ha trovato il suo vero popolo, ha trovato il suo vero Dio da seguire e adorare, ha trovato in Noemi la sua vera madre,  dalla quale si separerà solo con la morte, insomma ha trovato il trio costitutivo della vita missionaria: un popolo con la sua cultura, una fede ampliata e trasfigurata e infine un’aura materna tipica di Lidia di Filippi, un utero materno dove rifugiarsi ma anche dove rigenerarsi per una avventura Ad Vitam. Insomma Ruth non ritorna, non indietreggia come Orpa, il suo ritorno non è un ritorno, ma piuttosto un avanzare, un procedere, un progredire sempre più e meglio. Ruth come tanti missionari e missionarie, come sr. Irene, come i 72 (Lc 10,16-19) ritorna dalla missione con lo zaino pieno di pienezza straripante a livello culturale, teologico e affettivo, insomma l’inviato in questo ritorno si sente un rokosi vivo in primavera e in estate promettente.

Questo è il secondo volto del ritorno dalla missione, un volto primaverile e estivo, sorridente, come quello abituale di sr. Irene, persino Gesù ne è partecipe, quando i 72 ritornano: da buon allenatore gioisce con il risultato della sua squadra che ha sconfitto solennemente Satana. Però non dimentichiamo che il ritorno dalla missione è gianico, è bifronte, ha pure un altro volto ben focato da Noemi. Partita da casa “colma di beni” (Ruth 1,21), ritorna vedova di tutto, è un utero e rokosi secco, ha lo zaino vuoto perché svuotato dalla vita, ha dato tutto l’essenziale della sua esistenza, suggerisce persino la possibilità folle di cancellare il suo nome Noemi = Dolcezza per essere chiamata Mara = Amarezza, persino ripete per due volte che il Signore ha steso la sua mano contro di lei (Ruth 1,13.21). Ricordiamo il folle atto immolativo di sr. Irene un mese prima di morire: anch’essa depone il suo strapieno zaino, però per nulla amareggiata né delusa o frustrata  come Noemi ma animata dalla certezza della sua scommessa e avventura missionaria. Noemi è paradigma di tutti i ritorni autunnali o invernali dalla missione, soprattutto in questo tempo di rigenerazione e di ristrutturazione che esige l’addio al passato eroico (ad vitam) e martire, includendo in ciò anche le fasi della vita, come  la malattia, la vecchiaia, la restituzione lenta e inesorabile delle forze fisiche fino alla chiamata definitiva nell’altro emisfero, nell’estasi trinitaria. Lc 10, 20-24 caratterizza bene questo secondo volto del ritorno dalla missione: da una parte implica un cambiamento di tonalità e di registro, una correzione amara, come lo può suggerire il secondo ipotetico nome di Noemi, Mara, ma dall’altra indica e prepara l’estasi trinitaria terminale, nella quale Gesù, impaziente, straripante di gioia e pieno di Spirito Santo, spinge ad entrare per conoscere e partecipare della pienezza trinitaria che solo i piccoli possono godere.

4.2 Ruth 2,1-23: Ruth spigolatrice, icona e metafora feconda

Ruth straniera, per di più moabita, ripudiata dagli Ebrei, vedova, senza figli, senza campi e senza alcuna ricchezza e pretese, però non retrocede come Orpa, ma preferisce procedere decisa Ad Vitam nel cammino incontrato, decide di andare non a mietere ma a spigolare dietro i mietitori di Booz. Ecco l’icona oppure la metafora più feconda e più in sintonia con l’Ad Gentes di oggi, non in posizione di avanguardia ma di retroguardia, non transitorietà antistante ma permanenza retrostante che si inchina per raccogliere il seme e così va e attinge nel profondo  le radici autentiche e genuine di una cultura e rispettiva religiosità.

Vi vedo l’attualizzazione di Lc 10,1-8: In primo luogo è il momento dell’invio a un “cortile gentilico” in un campo già seminato, già zappato e coltivato che ora stanno mietendo perché Dio è già di casa e a casa. Qualsiasi inviato a qualsiasi ad Gentes non può prescindere da questa premessa e visione ottimistica, da questa certezza e precedenza teologica storico-salvifica. Qui il torto di Orpa che ritorna al suo mondo, indietreggia perché non ha saputo come Ruth mietere o spigolare le orme della missio Dei e della Missio Deus nella sua storia.

In secondo luogo è pure il momento dell’andata dell’inviato: Ruth cosciente di aver trovato il vero Dio, il vero popolo, la vera madre, con deliberazione ad Vitam, va all’Ad Gentes con tanti “Senza”, con paucità di mezzi ostentativi di potere e di complessi di superiorità, va con lo zaino vuoto che però riempie raccogliendo chicco per chicco dal campo in tempo di mietitura, procedendo pian piano e pazientemente non solo in estensione ma anche in profondità, seguendo il ritmo e timbro dei tempi di Dio (stabilitas loci).

Sembra un camaleonte che avanza lentamente conquistando il terreno che attraversa con umiltà e rispetto, lo osserva attentamente per poi identificarsi e assumere il colore dell’ambiente. Un’altra immagine: sembra un piccolo rigagnolo che pian piano con curve e stasi procede ostinatamente e si ingrossa fino a diventare fiume che sfocia nel mare.

4.3 Ruth 4,13-17: Noemi rivalutata nella storia messianica

Il ritorno dalla missione visto a distanza satellitare lungimirante

Ruth sposata dà alla luce il figlio Obed che però a tutti gli effetti giuridici è figlio di Noemi, per cui a differenza di Orpa che ha indietreggiato o girato le spalle, tutti e tre a loro modo sopravvivono e entrano a far parte della genealogia messianica, formano un anello della corrente storica salvifica. Nella finale del libro, Ruth da protagonista scompare dietro Noemi che riguadagna la primazia finale. Da ipotetica Mara e abbandonata da Dio, Noemi ora è confermata come Dolcezza. Si celebra qui di nuovo l’ambivalenza del momento del ritorno missionario, però visto da una differente prospettiva: Ruth ora deve svuotare il sacco per passare tutto il contenuto alla suocera, a Noemi, che ora si ripresenta con lo zaino straripante di pienezza messianica.

In questa altalena di scambi di doni tra Ruth e Noemi, personalizzata dal figlio Obed, si annuncia un quarto volto, una quarta dimensione del ritorno dalla missione, ora visto nella sua incidenza storico-ecclesiale, la cui valenza non è da dimenticare, perché la si dimentica facilmente o la si suppone troppo facilmente. Il ritorno dell’inviato non lo si deve considerare solo nella sua specificità cronologicamente circoscritta e limitata, ma lo si deve considerare anche nella sua valenza trasfigurato nel tempo qualitativo di Dio che sfocia e si incarna nella storia della Chiesa. Per cui questo ritorno dalla missione non lo si deve più vedere a distanza limitata, vincolata nel particolare storico, ma a distanza satellitare lungimirante, svincolata totalmente dal particolare storico, al di là delle meteorologie individuali e turbolenze storiche. Nonostante le varie Orpe della storia missionaria, si tratta di un il ritorno che ha prodotto tappe epocali, amplificando alla Chiesa il suo orizzonte geografico e la sua autocoscienza. In concreto, gli zaini pieni al ritorno dalla missione e svuotati al ritorno dalla missione, finiscono per riempire un unico immenso zaino, lo zaino della Chiesa universale. Come Noemi e Ruth con il figlio Obed, e non come Orpa, sì, come sr. Irene e sr. Leonella, così tutti i missionari e missionarie hanno cooperato a riempire questo immenso zaino della Chiesa che oggi si presenta ancor più e ancor meglio nella sua dimensione cattolica, una Chiesa che non indietreggia come Orpa, ma procede decisa e motivata come Ruth, pregredisce sempre più e sempre meglio, cantando nuove maternità come Noemi.

Tra i tanti aspetti non sarà il Vat II da considerare da noi missionari proprio come un nostro ritorno, un frutto ecclesiale maturo prodotto dal ritorno di innumerevoli missionari e missionarie vissuti in un’epoca eroica e martire, ritornati ora alla ribalta e alla gloria/estasi nelle varie Chiese Locali fondate? Il singolo missionario ritorna, i singoli istituti missionari ritornano e persino muoiono o con lo zaino pieno oppure svuotato, come un rokosi secco, ma la missio Dei, la missio Deus nel suo impeto storico-salvifico non ritorna, non muore, ma prosegue come un rokosi verde e rigoglioso per lanciare nuovi rami nelle prossime primavere missionarie.

Conclusione generale

Dopo tutte queste riflessioni bibliche, lucane, consolatine, su Sr Irene, su Ruth-Noemi, come caratterizzare il passaggio e il salto pasquale, la rinascita e la riqualificazione del nostro carisma all’Ad Gentes di oggi?  Il più delle volte si caratterizza questo passaggio pasquale con il seguente contrappunto:  da un ad Gentes locale, coloniale, continentale si passa ora ad un Ad Gentes mondiale globale, politicamente indipendente, culturalmente maturo e religiosamente strutturato.

Sintetizzo questa posizione specificandola nei seguenti punti:

– (1) da una evangelizzazione autentica e eroica ma cronicamente marcata dal complesso di superiorità a livello teologico, culturale, artistico e linguistico si va – lontani dalla risoluzione di Orpa – a una evangelizzazione pure autentica ma umile di partenza e senza pretese e preconcetti di superiorità come Ruth, forse un po’ di complesso di inferiorità non farebbe male. Penso alla Consolata IMC-MC nella Mongolia.

– (2) per cui  la nuova evangelizzazione prima di dare miete, prima di fare ascolta, prima di insegnare impara; anzi oggi la nuova evangelizzazione deve accontentarsi di spigolare come Ruth e non solo all’inizio come Ruth. Penso alla Consolata MC in Gibuti.

– (3) insomma da una evangelizzazione a senso unico a una evangelizzazione di andata e ritorno, di scambi reciproci di doni tra l’evangelizzatore e l’evangelizzato di modo che i doni si possono scambiare, l’evangelizzato evangelizza l’evangelizzatore, come Ruth che si inserisce nell’albero genealogico messianico oppure come Lidia che fa compiere a Paolo una importante inversione, infine come Sr. Irene che due popoli ne fanno una statua, Nyaatha, e uno statuto Pwiyamwene.

– (4) infine da una evangelizzazione che prescinde e persino esclude un cammino previo salvifico di Dio nel “cortile gentilico” che vuole evangelizzare, a una evangelizzazione che come Ruth parte dalla pietra miliare che Dio è in casa e già di casa in tutti gli Ad Gentes e marca già nella sua storia fatta di curve e di ignoranze umane un cammino autentico, anche se limitato, di storia di salvezza: in questo cammino previo mietuto oppure spigolato, la nostra evangelizzazione si inserisce e come Ruth lo feconda seminando il seme del Kerigma e generando Chiese Locali. Penso al Dio namulico dei Macua Scirima, Dio materno femminile lunare e notturno che completa simmetricamente e e specularmente l’icona di Dio biblico vt e nt, di Dio paterno, solare e diurno.

Conclusione Ireniana

In concreto, il balzo pasquale consolatino lo vedo ben focalizzato in parte nel trio Noemi-Ruth-Orpa, ma soprattutto nella beata Irene Stefani osservata da varie angolature bipolari:

  1. a) Irene della storia (eroicità ad vitam, povertà radicale, obbedienza cieca, lavoro intenso) e Sr. Irene della gloria/estasi (beatificazione, santuario, peregrinazioni)
  1. b) Irene dell’Andata a zaino vuoto e Sr. Irene del Ritorno a zaino pieno ma eroicamente deposto (autoimmolazione).
  1. c) Irene dagli scarponi e dal capello coloniale… e Sr. Irene dalla makeya, dai sogni della biosofia e biosfera macua scirima di Nipepe.
  1. d) Irene Nyaathain Kenya nel tempo coloniale: seminatrice, statua/icona missionaria e Sr. Irene Pwiyamwene in Mozambico nel tempo delle Indipendenze nazionali: mietitrice come Ruth — statuto comunitario.
  1. e)  Irene nel paradigma della conferenza Muranga 1 (formazione dell’ambiente con visite, con catechisti, con scuole e salute, prevalentemente a senso unico e esclusivo) e Sr. Irene nipepese già proiettata nel paradigma di una conferenza Muranga 2

dove è il trio consolatino IMC-MC-LMC che si deve conformare all’ambiente dell’ad Gentes (con altrettante visite, con altrettanti LMC, insomma, con altrettanta  promozione umana, però costantemente a ritmo di altalena e a senso inclusivo e alternativo fatto di scambi di doni.)

Amen alleluia

 

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