A Nyeri, in Kenya
“Stanca del viaggio di più giorni in carovana a piedi, suor Irene non usufruì del riposo nel dopo pranzo ma ottenne di poter aiutare. Io la vedevo in ogni luogo al lavoro: in cucina, in refettorio, a scopare, a lavare le stoviglie; finito questo, andava a conversare con i bambini che trovava lì alla Missione e cercava di dire le poche parole che sapeva in kikuyu. Gli mostrava il Crocefisso, lo dava a baciare e poi quando vedeva qualche altra sorella, che sapeva la lingua, svelta le chiedeva per favore una parola in kikuyu; lei se la scriveva tutta in fretta sul piccolo taccuino e poi la ripeteva, si sforzava a dirla da sola e con gli indigeni, in tutte le occasioni”
Ospedali militari in Kenya

sr. Irene insieme al personale dell’Opedale militare
Venendo colpita da un forte mal d’occhi, a suor Irene era stato detto di non andare al lavoro per qualche giorno; ella accondiscese, perché ubbidientissima, e soggiunse: “Solo per i lavori non vado, ma per l’istruzione al tale, che non l’ho ancora completata e non guarisce, sì; Lei ha tutto il resto, mi permetta solo una visita di tanto in tanto a queste malati, perché siano salvi!”
Ospedali militari in Tanzania
Un giorno al mattino Suor Irene entrando in una capanna vide il letto di Athiambo vuoto; lo aveva lasciato la sera prima, preparato al Battesimo ma non lo amministrò subito perché non era grave. Chiamò il ragazzo il quale le rispose “E’ morto ieri sera prima di mezzanotte, l’abbiamo portato via”. E lei:“Ma come, morto?! Non era tanto grave, perché non mi hai chiamata?”. “Credevo che l’avessi battezzato, ti ho vista ieri sera fino a tardi da lui”. “Ma era proprio morto?”. Non poteva darsi pace. Venne da me con l’angoscia in cuore e mi raccontò il fatto accaduto; mi diceva: “È mia colpa se quell’anima non è in Paradiso. Mi lasci andare laggiù dove gettano i cadaveri, chissà che non sia vivo”. Risposi: “Se è di ieri sera, prima della mezzanotte, è impossibile!”.
Continuai il mio lavoro senza darmi nessun pensiero, ma dopo una mezz’ora ecco la vedo arrivare tutta giuliva. Mi disse: “Sorella, l’ho trovato e respirava ancora, gli ho rinnovato l’istruzione, l’ho battezzato sotto condizione l’ho lasciato là, ma è vivo, bisogna mandarlo a prendere”. Allora le dissi: “Come ha fatto a trovarlo?”. “C’era il mucchio dei cadaveri. Guardai tutt’intorno, non l’ho vidi, m’è venuta l’ispirazione che fosse sotto agli altri, perché portato via di notte. Allora cominciai a togliere i cadaveri, uno dopo l’altro fino alla fine e, proprio sotto, sotto, ho conosciuto quel viso. Lo sollevai e sentii un respiro. Il mio cuore trasalì di gioia e lo battezzai. Deo Gratias! Deo Gratias!”, continuava a ripetere. Ripetei anch’io il Deo Gratias e m’avviai con lei per andarlo a prendere e anche per vedere il caso”.
Ghekondi, Kenya
“Suor Irene il caffè lo spolpava con i bambini dell’Asilo. Circondavano la buona Suora ed essa raccontava loro dei fatterelli, faceva il catechismo, insegnava la recita del “Pater noster” ed Ave Maria perché sapessero poi recitare il Santo Rosario in chiesa, anzi recitava con loro il Santo Rosario e ripeteva insieme, parola per parola, tutta la terza parte del Rosario, aspettando paziente che i bimbi, anche i più piccolini, ripetessero tutte le parole.
Sembrandole che la sola occupazione della scuola fosse troppo comoda, nei ritagli liberi di tempo correva in visita ai villaggi il che era sovente a mezzogiorno, e i giorni di vacanza li serbava per lunghe giornaliere”

“la carità nell’aiutare subito, conservò in tutta la sua vita”

“Quante volte la sera tardi si addormentava mentre rispondeva o scriveva lettere per donne analfabete che avevano i figli o i mariti a Nairobi!”

“Gli ammalati avevano tanta fiducia in suor Irene, la quale, infatti, era buona infermiera. Ma se curava i corpi, con maggior ardore curava le anime e l’assistenza che faceva ai moribondi era veramente ammirabile. Passava notti intere e non li lasciava che quando avevano esalato l’ultimo respiro. Suggeriva giaculatorie, aspirazioni, faceva fare atti di confidenza. Con Suor Irene accanto si moriva consolati”.

Tomba di sr. Irene
Ghekondi, ottobre 1930
“Mware Irene ci ha sempre tanto beneficati ed è perché ci ha tanto beneficati che si è ammalata”